Leonardo

Fascicolo 13


in "Alleati e nemici"
V. SPINAZZOLA - Le origini e il cammino dell'arte. - Bari, Laterza 1904, p. IX, 350.
recensione di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
pp. 31-32


p. 31


p. 32



   Lo Spinazzola ha scritto il primo libro, dopo quelli del Conti, che la storia dell'arte abbia in Italia; giacchè la storia dell'arte non può essere fatta da notai raccoglitori di documenti, nè da chiacchieratori evanescenti, ma soltanto da poeti e da filosofi. La storia dell'arte è infatti rievocazione d'anime. Il passato lascia dietro sè dei segni che noi dobbiamo interpretare, delle medaglie di cui dobbiamo scoprire il sigillo, dei simboli di cui dobbiamo scegliere il significato. Ossia la storia dell'arte è la ricreazione del passato, lo storico dell'arte un mago che penetra, traverso l'opera, nell'anima del tempo. I quadri, le sculture, le architetture, le armonie, non sono quindi che eccitamenti, occasioni, punti di partenza; la storia di essi è la storia del nostro fantasticare, e deve rivestire poco o tanto la forma di racconto interno, di descrizione interna; perciò lo storico ha da essere una persona, qualcosa di attivo e di proprio, di singolare e di raro, che sia capace di violare e di rapire, di penetrare con la forza o la scaltrezza nei segreti pertugi che l'anima del passato lasciò nelle sue opere.
   V. Spinazzola infatti non si è chiesto, come Winckelmann, tenendo in una mano il modello perfetto, l'ideale greco, «quale sia la forma bella e quale la brutta» (p. 142) e neppure ha tentato col riferire qualche brano di cronaca e snocciolare dei dati statistici di spiegarci, come hanno creduto fare il Taine o il Müntz, l'opera d'arte. Egli ha «chiesto alle forme dell'arte di quali spiriti furono l'espressione e quali anime esse rivestirono» (p. 141). Con ciò naturalmente era negato, e il progresso e l'evoluzione nell'arte; «l'arte è l'espressione sempre adeguata dell'atto d'intuizione dello spirito fuori d'ogni bisogno animale della vita, e però essa nasce vitale e sin dal principio essenziale,» (p, 65).
   Io sono d'accordo con l'autore; tanto d'accordo da trovarlo perfino non sempre d'accordo con i suoi principii. Perchè parlare di Primitivi, se nell'arte non c'è progresso? la parola, anche se gli date un senso diverso dal Taine «chercheus raides et frustes» porta seco il peccato originale di esser una immagine esprimente evoluzione e progresso. — Per parlare di Fidia perchè parlarci di Aspasia e di Pericle, citarci Maratona e Anassagora, quando non sono questi che debbono spiegare Fidia, ma invece Fidia che deve spiegarci loro? — Perché citarci come giudizi estetici quelli del Grosse e del De Mortillet (p. 66, p. 74) quando questi signori evidentemente non capiscono nulla di arte, giacché non sanno esprimere la loro ammirazione per le sculture preistoriche che dichiarandole «eguali all'arte greca» oppure tali «da passare per il bozzo d'una statua europea» o peggio ancora, con criterio verista da magazziniere di sali e tabacchi, tali «che potrebbero servire di soggetto agli studi di un zoologista»? In questi tre giudizi si sente solo la frase comune alla gente povera di senso estetico, che non trova altra immagine del greco patentato nei manuali e del vero autorizzato dal senso comune a fare da modello artistico.
   Si potrebbe applicare però la critica puramente estetica all'architettura? Io ne dubito. Credo che converrebbe tenere conto di altri fattori. Ma di ciò altra volta, quando capiterà sotto mano un libro come quello dello Spinazzola.
   Credo però che sarà difficile. Il trovarlo è stata per me una gioia fraterna mista al senso di invidia e di rammarico che si prova trovando espresso ciò che avevamo pensato. Ma non sono così meschino da non augurarmi ancora molte volte questo piccolo dispiacere.


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